sabato 26 giugno 2010

New Fang

La incontro al compleanno di un mio vecchio amico, una volta suonavamo insieme. Io e il mio amico intendo.
La incontro per modo di dire, in una serata in cui sono talmente cinico (più del solito) e misantropo (nella mia media personale, pure sempre altissima, direttamente proporzionale all'estensione del mio ego) da scambiare quattro chiacchiere precise con la gente in giro, tanto per non risultare antipatico. Non più del solito.
Ci presentiamo, scambiamo quattro chiacchiere. Ha delle tette giganti. Sono quasi fastidiosamente giganti. No, non che siano due angurie indecenti che ti fanno creare problemi logistici riguardo a quali posizioni sessuali inventarsi da supini, per non parlare dei possibili e piùcheprobabili problemi dovuti ad una posizione prona, con colonne vertebrali irregolarmente piegate ad angoli innaturali. No, non così grandi. Sono solo abbastanza grandi. Abbastanza grandi da farmi confondere le idee, da farmi venire voglia di correre nudo per duecento metri (probabilmente con tutte le sigarette che fumo mi scoppierebbe il cuore e uscirebbe dal petto tipo Alien, ma con meno sex-appeal di Sigourney Weaver), e da farmi interessare a questa ragazza. Non per essere superficiali eh. Anzi sì, per una volta sono stato più che superficiale. Volevo quelle tette.

Ora tutti voi lettori (ma chi? Esistono?) starete pensando "Ma certo, e ora si porta a letto pure questa... ma chi la vuoi raccontare Josh?"... bene cari lettori. Punto primo, non me la sono portata a letto (mi piacerebbe scrivere "ancora".... lo scrivo va) ancora, punto secondo, se non mi credete, problemi vostri. Che cazzo mi leggete a fare?

Stronzate a parte, ritorniamo alla nostra storia, alla nostra donna decisamente dotata. Ciao, piacere io sono Josh, tu come ti chiami? Io mi chiamo Dee. Dee, penso. Che nome strano. Finisce là, incredibilmente non le offro da bere, incredibilmente non le dico altro. Ci presentiamo, e lei va via prima di tutti. Stupido Josh. Una volta che un prurito ti prende in questa maniera, tu non ti gratti?

Torno dal mio amico e cerco di capire un po' chi è questa Dee. Poche notizie, ma riesco a strappare un numero di telefono.

Passano due settimane, forse di più. La chiamo.

"Ti sei deciso a chiamarmi, maleducato."

"Maleducato? Io? E per quale motivo?"

"Avresti potuto offrirmi da bere!"

"Ma tu l'hai capito chi sono io? Perché secondo me ti stai ricordando di qualcun'altro."

"Certo che l'ho capito. Ti va un aperitivo? Tra due ore al...."

Ci vado. Sto facendo una cosa da stupidi, delusi dalla vita. L'appuntamento al buio. Oh, insomma, diciamo un appuntamento in penombra.

Non vi tedierò con tutto quello che ci siamo detti in quelle tre ore, e questa storia non finirà con me che mi strofino tra le sue tette burrose, prima di fumare una sigaretta e andare via come al solito. Questa volta, come vi dicevo, non è finita così. E' stata una di quelle rare volte in cui ho incontrato una ragazza che pensavo fosse una puttana, e ho scoperto che era invece una con un cervello gigante.

Gigante.

Come le sue tette.

Mi sono un po' innamorato di Dee, anche se dubito che ci possa essere trippa per gatti, vista l'impressione che tendo a dare io, stronzo come sono (ma non nell'accezione positiva) quando conosco persone che mi stanno dietro con i pensieri. Sono un po' invidioso forse.

Beh, grazie a Dee, che mi ha ricordato che il mondo non è solo mutandine di pizzo e lenzuola croccanti.

Non sempre almeno.


sabato 12 giugno 2010

Live

Quando vado a suonare riesco a stare lontano dal resto del mondo.

Ricordo una volta, in mezzo a tutti i ragazzetti impazziti che ballavano, che pogavano, ce n'era uno, con i capelli corti, fermo, immobile, al centro della sala.

Ci stava ascoltando. L'ho guardato la prima volta mentre cantavo la seconda canzone in scaletta, la puzza di chiuso e sudore cominciava appena appena ad evaporare dal magma di persone che c'erano davanti a noi. L'ho guardato.

E non sono più riuscito a distogliere lo sguardo.

Ogni volta che cominciava una canzone, lui chiudeva gli occhi, con le braccia conserte, dondolava la testa avanti e indietro. E poi applaudiva, e mi guardava negli occhi. Guardava tutti noi della band negli occhi quando applaudiva. Non che gli altri lo avessero notato in realtà. Non so neanche se ne ho mai parlato con gli altri di questa storia.

In quel momento tutto mi sembrò più chiaro. Tutte le ragazze che urlavano, i punkettoni che pogavano come i dannati, non avevano più alcun significato. Quella sera probabilmente abbiamo fatto il nostro miglior concerto. Questa è stata la mia percezione. Perché suonavamo per qualcuno che ci ascoltava.

Tutto ciò che fino a quel momento mi aveva fatto venire delle erezioni cerebrali: vedere tutta quella carica, la gente che urla il tuo nome, improvvisamente non significava più niente. Non me ne fregava più un cazzo di quelli che pogavano e che urlavano il mio nome. Mi davano quasi fastidio. Lo so, una "rockstar" non dovrebbe mai permettersi di parlare male dei suoi "fan". Gli altri hanno comunque un loro modo di esprimere una passione. Ma quella sera li odiavo tutti. Tutti, nessuno escluso, a cominciare dalla coppietta con lui che la difendeva dagli altri per paura che si facesse male... ma che cazzo siete venuti a fare ad un concerto rock, stronzi.

Quel ragazzo era riuscito a ribaltare il mio punto di vista. Non era lui quello fuori luogo in mezzo agli altri, al pogo, alle bottigliette d'acqua, alla birra, ai baci nelle canzoni romantiche, al mio nome urlato, ai ritornelli strillati dalle adolescenti.

Erano tutti gli altri fuori luogo. Non so quale cazzo di magnetismo abbia avuto, forse semplicemente m'ero scolato un bicchiere di troppo, fatto sta che non sono più riuscito a staccargli gli occhi di dosso. Ci ascoltava. Mi ascoltava. Sentiva quello che io avevo scritto, e mi applaudiva sincero. Non urlava, non saltava, non faceva il pazzo. Era lì per la mia musica. E basta.

Non ho mai più rivisto ad un concerto qualcuno che facesse una cosa simile. Di lui mi sono dimenticato subito, già due ore dopo, finendo in chissà quale motel con qualche bionda pronta ad aprire le gambe. Un bicchiere, una sigaretta, e lui me lo sono completamente dimenticato.

Non l'ho rivisto più.

Eppure stasera sono andato ad un concerto, questa volta ero io dall'altra parte. E ho ascoltato, in silenzio, ogni singola parola, ogni singola nota, ogni singola emozione.

E quel ragazzo mi è tornato in mente.

E' riuscito a ribaltare i ruoli.

Quella sera ho suonato per una sola persona.

giovedì 10 giugno 2010

Writing bullshit again.

Sono sparito, sono sparito per mesi. Non ho scritto più questo schifo di blog che a rileggerlo ora mi fa venire soltanto l'orticaria. Poi per puro caso (liberi di credermi, altrimenti 'sti cazzi) mi ritrovo a pensare al diario di Josh proprio in questi giorni, a parlare con un vecchio amico, e ci ripasso a vedere che aria tira.

Mi accendo una sigaretta, mi siedo comodo, mi rileggo, e mi faccio pena. Non mi piace un cazzo di quello che ho scritto, tanto per cambiare. Poi noto che un certo tizio mi ha commentato ieri, e quasi quasi trasalisco (guarda te quanta importanza gli sto dando...). Un commento, due, tre. Leggo, rileggo i commenti. Mi fa incazzare, mi fa girare i coglioni. E mi fa tornare voglia di scrivere.

Che tu sia benedetto stronzo presuntuoso. Che tu sia benedetto.

Forse dovrei cambiare le corde alla chitarra e provare a vedere se mi tornano i calli sulle dita, o se sono ancora in grado di produrre qualcosa che sia anche solo lontanamente ascoltabile.

Chissà che non torni più presto di quanto crediate. O di quanto credi tu, anonimo commentatore dall'antroponimo scozzese. Che forse sei stato il mio unico lettore in tanto tempo.

Peggio per te.