giovedì 26 aprile 2012

Bottles to the ground

 non so quante bottiglie di birra
 ho consumato aspettando che le cose
 migliorassero
 non so quanto vino e whisky
 e birra
 soprattutto birra
 ho consumato dopo
 aver rotto con le donne.
 aspettando che il telefono squilli
 aspettando il rumore dei passi,
 e il telefono non suona mai
 se non molto più tardi
 e i passi non arrivano mai
 se non molto più tardi.
 quando lo stomaco sta uscendo
 dalla mia bocca
 esse arrivano fresche come fiori primaverili:
 "come cazzo ti sei ridotto?
 ci vorranno tre giorni prima che potrai
 scoparmi!"
 la donna è longeva
 vive sette anni e mezzo più
 dell'uomo, e beve poca birra
 perché sa che fa male
 alla linea.
 mentre noi stiamo impazzendo
 esse sono fuori
 a ballare e ridere
 con degli arrapati cowboys.
 bene c'è birra
 sacchetti e sacchetti di bottiglie di birra vuote
 e quando ne prendi uno
 le bottiglie cadono nel fondo bagnato
 del sacchetto di carta
 rotolano
 sbattono
 sputando cenere bagnata
 e birra puzzolente, oppure il sacchetto casca alle 4
 del mattino
 emettendo l'unico suono della tua vita.
 birra
 fiumi e mari di birra
 birra birra birra
 la radio suona canzoni d'amore
 e i muri vanno
 in su e giù
 e la birra è tutto quello che c'è.

C. Bukowski

lunedì 23 aprile 2012

"...for the deaf, that is for you"

Ennesima notte insonne. Questo nuovo cognac che mi hanno regalato ha un gusto piacevole e denso.

"Provalo col ghiaccio..."

Disse il tizio che me l'ha regalato. Mah, non capirò mai che gusto si provi a mettere ghiaccio nel cognac. Liscio, a temperatura ambiente, così va bevuto. Ti fa un buco nel petto, un altro, e per qualche istante ti distrae dall'immenso vuoto che pare impossibile da riempire. Coprire un buco con un altro buco e con un altro ancora. Buchi. Sempre lì si va a parare.

Rullo una sigaretta, la rullo male e mi innervosisco. Sono di fretta, sono nervoso. La fretta di arrivare ad un punto, di arrivare da qualche parte, di giungere a qualche conclusione di qualche tipo. Ma non ho alcuna indicazione sulla strada da seguire, soltanto vaghe impressioni e odori da seguire nel vento capriccioso.

Conosco una ragazza, Mia, elettrica, simpatica, piacevole da ascoltare. Mi martella il cervello, vuole il mio numero di telefono, esce con me. Mi guarda e si aggiusta la scollatura della sua maglietta bianca. Fanculo, non riesco a non guardare, anche se cerco di non farlo. No, non questa volta. Questa volta niente vuoti da riempire con capezzoli e natiche. Non c'ho voglia. Non mi viene manco di farmi una sega, ora come ora. Non ho voglia di nulla. Riesco solo ad aspettare. Cosa, non lo so. È simpatica, è intelligente, sembra davvero una persona in gamba. Ma non c'ho voglia.

Passa solo qualche minuto e mi faccio rapire dai suoi racconti, dalla sua vita, dalle sue avventure. Non voglio parlare troppo di me e non lo faccio. Voglio soltanto ascoltare. Ascoltare e aspettare. E aspettare genera un effetto inaspettato (che piacevole cacofonia)... non mi importa più. Passano pochi giorni, e non mi importa più. Riesco a starle lontano il giusto tempo necessario per sentirmi totalmente distaccato. La fretta. Una sigaretta rollata in fretta viene male.

Il telefono squilla e squilla, io rispondo. Cerco di fare finta di avere ancora interesse, cerco di fare il bravo attore. Cerco di farlo per non fare rimanere male lei. O forse lo faccio per non rimanerci male io? La vendetta non serve a niente.

Aspetto soltanto, butto la sigaretta che è venuta male e ne rullo un'altra. Questa volta è venuta meglio, ci ho messo più calma, ho avuto più pazienza. Pazienza.

Non me ne resta più molta, eppure continuo a resistere. Sono molto stanco. Tutto qua.


martedì 3 aprile 2012

It's over when it's over

Poi arriva il giorno in cui sbatti contro quel cazzo di muro fortissimo. Quello è il giorno della sconfitta, il giorno della resa, il giorno in cui devi alzare la bandiera bianca (che in fondo è così pura) e dare un enorme calcio nel culo alla parte idiota di te. Hai vinto di nuovo, ora vattene, non è più il tuo tempo. Non hai più alcun potere su di me.

Nulla esiste per davvero se noi non lo desideriamo.

Ma ogni fine è l'inizio di qualcos'altro.

Fottutamente banale, fottutamente vero.

*Bella cazzata hai fatto Josh (lo scrivo per tenerlo a mente.)*

La prossima volta vi prometto che vi racconterò una delle classiche storie fatte di mutandine di pizzo, alcohol e sesso squallido, che questo diario è diventato l'angolo dell'emo rincoglionito.

Infedelmente vostro.

Josh.

domenica 1 aprile 2012

Cronos

Per quanto voglia combattere contro Karen, per quanto ogni volta riesca a spingermi fino ad ogni limite dell'umana sopportazione e dignità, mi rendo conto che è stata la solita corsa verso il burrone alla cieca, come Thelma e Louise. Senza titoli di coda a chiudere il film. Solo il nero, senza le scritte.

Tutto lo schifo che mi piace sopportare in questa maniera così morbosa non fa altro che farmi perdere tempo (come se l'avessi mai trovato). Tempo ed energie, direbbe qualcuno. Puttanate. Il tempo non è altro che uno sconosciuto che aspettiamo ad una fermata dell'autobus che fa tappa da una delusione all'altra, da un'illusione all'altra. È solo in questi momenti del cazzo che ci accorgiamo della sua insopportabile esistenza, e ne desideriamo la totale assenza.

Tempo ciclico, sia in senso circolare che mestruale. Fa i capricci, ti prende per il culo, ti mangia il cervello e te lo caga nel solito schifo reiterato, quello fatto di attese disattese e sogni infranti talmente tante volte che sono diventati una tv senza cavo dell'antenna.

Ormai sono abbastanza sicuro che Lei sia stata creata solo ed esclusivamente per questo, cagarmi in testa. Continuamente. Ma in maniera puntigliosamente incostante. Perché altrimenti che gusto ci sarebbe? Povero Josh che insegue sempre la sua Karen, che a volte riesce ad avvicinarsi a tanto così, che viene puntualmente preso a calci nel culo. Fare la stessa operazione centinaia di volte e aspettarsi risultati diversi (la stupidità umana secondo Einstein). Le lancette girano all'infinito, e puntano sempre sulle stesse ore, inevitabilmente. Stupido tempo.

E poi passa la solita settimana-mese-giorno-minuto-secondo del cazzo dove prego, immagino, spero, attendo, accendo sigarette, cercando di prendere a calci in culo quel tempo figlio di puttana che sembra lento quanto il bastardo vecchio col cappello davanti a te nella fila in auto. Fottuto vecchio di merda, eccoti di nuovo lì davanti, bentornato. Mi pare di comprendere il terrore del Capitano Uncino, inseguito dal coccodrillo ticchettante.

Onde. Sismiche, magnetiche, di Kondratiev, marine. Un eterno reiterarsi degli stessi movimenti, sali e scendi, avanti e indietro, a destra e a sinistra. Nulla muta, tutto muta. Stupido tempo in uno stupido mondo.

E io non faccio quasi niente per cambiare le cose, mi faccio trascinare dalle onde, mi ritrovo seduto in quel bar di merda (devo cambiare bar, almeno questo... ) a bere il solito bicchiere di liquore da quattro soldi, torno a casa di notte, accendo sigarette, bevo, scrivo, suono, ascolto la musica, odio la musica, odio il mondo, odio Karen, odio me stesso, e si ricomincia. Giro dopo giro, secondo dopo secondo, eternità dopo eternità.

Il lato positivo è che tutto questo è stato già vissuto. È stato già scritto, raccontato, suonato. Mi è bastato leggere qualche mia vecchia storia del cazzo per accorgermi che sono una stupida vittima volontaria. Sono il coccodrillo e sono Uncino.

"La felicità non esiste, Josh. Possiamo solo rubarne un po', solo per qualche istante."

Me lo disse un amico.

A volte gli amici dicono cazzate.

Giro di
lancette, tic tac, sigaretta, accendino. Si riparte. Dannata
Karen.

Dannato Josh.