sabato 12 giugno 2010

Live

Quando vado a suonare riesco a stare lontano dal resto del mondo.

Ricordo una volta, in mezzo a tutti i ragazzetti impazziti che ballavano, che pogavano, ce n'era uno, con i capelli corti, fermo, immobile, al centro della sala.

Ci stava ascoltando. L'ho guardato la prima volta mentre cantavo la seconda canzone in scaletta, la puzza di chiuso e sudore cominciava appena appena ad evaporare dal magma di persone che c'erano davanti a noi. L'ho guardato.

E non sono più riuscito a distogliere lo sguardo.

Ogni volta che cominciava una canzone, lui chiudeva gli occhi, con le braccia conserte, dondolava la testa avanti e indietro. E poi applaudiva, e mi guardava negli occhi. Guardava tutti noi della band negli occhi quando applaudiva. Non che gli altri lo avessero notato in realtà. Non so neanche se ne ho mai parlato con gli altri di questa storia.

In quel momento tutto mi sembrò più chiaro. Tutte le ragazze che urlavano, i punkettoni che pogavano come i dannati, non avevano più alcun significato. Quella sera probabilmente abbiamo fatto il nostro miglior concerto. Questa è stata la mia percezione. Perché suonavamo per qualcuno che ci ascoltava.

Tutto ciò che fino a quel momento mi aveva fatto venire delle erezioni cerebrali: vedere tutta quella carica, la gente che urla il tuo nome, improvvisamente non significava più niente. Non me ne fregava più un cazzo di quelli che pogavano e che urlavano il mio nome. Mi davano quasi fastidio. Lo so, una "rockstar" non dovrebbe mai permettersi di parlare male dei suoi "fan". Gli altri hanno comunque un loro modo di esprimere una passione. Ma quella sera li odiavo tutti. Tutti, nessuno escluso, a cominciare dalla coppietta con lui che la difendeva dagli altri per paura che si facesse male... ma che cazzo siete venuti a fare ad un concerto rock, stronzi.

Quel ragazzo era riuscito a ribaltare il mio punto di vista. Non era lui quello fuori luogo in mezzo agli altri, al pogo, alle bottigliette d'acqua, alla birra, ai baci nelle canzoni romantiche, al mio nome urlato, ai ritornelli strillati dalle adolescenti.

Erano tutti gli altri fuori luogo. Non so quale cazzo di magnetismo abbia avuto, forse semplicemente m'ero scolato un bicchiere di troppo, fatto sta che non sono più riuscito a staccargli gli occhi di dosso. Ci ascoltava. Mi ascoltava. Sentiva quello che io avevo scritto, e mi applaudiva sincero. Non urlava, non saltava, non faceva il pazzo. Era lì per la mia musica. E basta.

Non ho mai più rivisto ad un concerto qualcuno che facesse una cosa simile. Di lui mi sono dimenticato subito, già due ore dopo, finendo in chissà quale motel con qualche bionda pronta ad aprire le gambe. Un bicchiere, una sigaretta, e lui me lo sono completamente dimenticato.

Non l'ho rivisto più.

Eppure stasera sono andato ad un concerto, questa volta ero io dall'altra parte. E ho ascoltato, in silenzio, ogni singola parola, ogni singola nota, ogni singola emozione.

E quel ragazzo mi è tornato in mente.

E' riuscito a ribaltare i ruoli.

Quella sera ho suonato per una sola persona.

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